Michele Colosio

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Investimenti: quelli più consigliati dai consulenti indipendenti

Giugno 10, 2020 by Michele Colosio Lascia un commento

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Tratto dal Corriere.it

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Non mettere tutte le uova nello stesso paniere

Dicembre 6, 2017 by Michele Colosio Lascia un commento

Il tema della diversificazione, intesa come elemento utile a ridurre i rischi dell’investimento, non è ancora molto percepito dai risparmiatori. Per molti di essi diversificare significa semplicemente avere più prodotti in portafoglio o suddividere il capitale tra più intermediari con l’aspettativa di accedere a soluzioni differenziate.

Nella mia attività mi capita spesso di analizzare portafogli concentrati sull’Italia, con azioni nostrane, obbligazioni bancarie (magari del tipo collocate allo sportello), Titoli di Stato, polizze vita e magari qualche fondo comune pure molto esposto al “Bel paese”. In altri casi l’investimento in una moltitudine di fondi di diversi gestori garantisce un’esposizione geografica varia, ma la concentrazione si riferisce in questi casi alla classe di attivo (azioni o obbligazioni) e allo stile gestionale perciò, malgrado la diversa etichetta degli strumenti, si è esposti sostanzialmente al medesimo andamento.

Se dall’analisi risulta una scarsa diversificazione (ossia se i diversi prodotti sono molto legati tra loro), consiglio l’inserimento di strumenti poco correlati tra loro. E grazie all’innovazione finanziaria (quella a fin di bene si intende…) oggi è possibile anche per i piccoli risparmiatori con qualche migliaio di Euro accedere senza problemi a soluzioni diversificate che riducono le oscillazioni di valore dei propri investimenti e l’impatto negativo di possibili fallimenti.

Una cosa fondamentale da capire è che diversificare, ad esempio in valute estere, nella volatilità dei mercato azionari, nei beni reali, nelle strategie alternative, ecc. potrebbe rappresentare un costo in uno scenario positivo per i mercati finanziari, ma è il prezzo da pagare per avere un po’ di protezione da sfruttare quando le cose vanno male. Insomma anche in finanza vale il vecchio adagio per cui “non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca”.

Cosa non fare:

  • Tenere tutto sul conto corrente o sul conto deposito (la crisi finanziaria ha ricordato che anche le banche possono fallire…)
  • Limitarsi a investire su emittenti italiani, che siano lo Stato, le aziende o le banche
  • Guardare solo al rendimento atteso e non curarsi del rischio di oscillazione del prezzo e delle probabilità di default
  • Scegliere i prodotti solo sulla base dell’andamento passato, senza approfondirne a fondo la strategia
  • Considerare gli scenari poco probabili come impossibili (i cosiddetti “cigni neri” sono molto più frequenti di quello che la teoria finanziaria dice)

Cosa fare:

  • Mantenere una buona fetta di liquidità, che fa da protezione nelle fasi di crollo dei mercati (come nel maggio e giugno scorsi) e permette di approfittare dei prezzi depressi per acquistare buoni investimenti
  • Mantenere il potere d’acquisto del capitale con obbligazioni legate all’inflazione
  • Diversificare, ma senza eccedere nel numero degli strumenti (ci voglionocompetenza, tempo e pazienza per sceglierli e monitorarli)
  • Stabilire l’orizzonte temporale dell’investimento e mantenere la strategia impostata senza farsi condizionare dal saliscendi dei mercati (un buon sistema è quello di guardare il valore dei propri investimenti con una bassa frequenza)
  • Farsi assistere da un professionista indipendente, almeno nella fase di analisi e costruzione della strategia

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Fineco e la presunta indipendenza

Dicembre 6, 2017 by Michele Colosio Lascia un commento

Nell’ultimo decennio i risparmiatori italiani hanno dovuto fare i conti con le crisi economiche e finanziarie scaturite dalla bolla tecnologica prima e da quella immobiliare poi, e con gli scandali e i crack di Parmalat, Cirio, Argentina e Lehman Brothers, solo per citare i casi più eclatanti.

In conseguenza di ciò la fiducia e la credibilità delle famiglie  italiane nei confronti degli intermediari finanziari tradizionali (Banche, Società di Gestione del Risparmio, compagnie di Assicurazione, ecc.) hanno subito dei gravi contraccolpi. Questa situazione ha favorito la diffusione anche in Italia, sul modello dei paesi anglosassoni, della figura del consulente finanziario indipendente, e il successo di questo blog tra i risparmiatori ne è una dimostrazione.

Alcuni tra gli intermediari tradizionali hanno capito i vantaggi che possono derivare dal proporsi nelle vesti di consulenti piuttosto che di distributori di prodotti e si stanno adeguando, ma è opportuno fare chiarezza sul tipo di consulenza offerta per non ingenerare delle incomprensioni nei risparmiatori stessi, soprattutto se, come nel caso di Fineco, si usa il termine indipendente come riporta testualmente il sito internet della società: “In Fineco puoi scegliere se investire da solo o con l’aiuto di un Personal Financial Adviser. Un professionista autonomo, libero e indipendente, senza vincoli di scelta, in grado di poterti consigliare i migliori fondi di tutte le marche. Farsi guidare da chi ha le mani libere è molto meglio”

E’ del tutto lecito che anche questi soggetti decidano di passare dalla mera vendita di prodotti alla consulenza, ma finchè distribuiranno i prodotti, loro o di terzi non importa, è bene sottolineare che si tratta di una consulenza in conflitto d’interessi. Ben diversa è la consulenza erogata dal Consulente Finanziario Indipendente che non svolge alcuna attività di vendita, non ha alcun rapporto con chi vende prodotti finanziari e non può ricevere alcun compenso per i prodotti consigliati. Quindi nessun conflitto d’interesse legato alle provvigioni, ma consulenza e assistenza ai clienti, nel loro esclusivo interesse. Solo questa può essere definita consulenza indipendente come già ribadito dalla Nafop, l’associazione italiana dei consulenti finanziari indipendenti:  «Solo i consulenti finanziari fee only rispettano il requisito di indipendenza previsto dalla Legge; coloro che si fregiano del titolo di consulenti finanziari indipendenti ma che ricevono provvigioni sui prodotti collocati, non potranno più dichiararsi tali con la nascita dell’Albo di categoria». 

Per completezza riporto l’articolo che regola i Requisiti di Indipendenza dei Consulenti Finanziari che recita così: “Per la prestazione di consulenza in materia di investimenti, gli iscritti all’Albo non possono percepire alcuna forma di beneficio da soggetti diversi dal cliente al quale è reso il servizio” (art. 5 del Decreto 206 del 24 Dicembre 2008, “Requisiti dei Consulenti Finanziari”).

Spero che questo articolo possa contribuire a sgombrare il campo da possibili equivoci in modo che il risparmiatore sia messo nella condizione di scegliere consapevolmente a chi affidare i propri interessi.

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Azimut, ma quanto mi costi!

Dicembre 6, 2017 by Michele Colosio Lascia un commento

Analizzando la situazione di un risparmiatore mi sono imbattuto in un portafoglio costituito, tra gli altri, da fondi della società di gestione del risparmio Azimut SGR. In particolare vi parlo di Azimut Trend un fondo flessibile che, come indicato nel regolamento di gestione, “si propone un significativo accrescimento del valore del capitale investito e che presenta un obiettivo d’investimento di lungo periodo (3/5 anni) con un livello di rischio alto […]La SGR attua una politica di investimento di tipo dinamico e flessibile con la facoltà di azzerare la componente azionaria investendo esclusivamente in strumenti finanziari del mercato obbligazionario e monetario.”                            

Vediamo i costi del prodotto:

  1. Provvigione di gestione su base annua  2,50%;
  2. provvigione di incentivo applicata se la variazione del valore della quota del Fondo è superiore, nell’orizzonte temporale di riferimento (anno solare), al 50% euribor 1 anno maggiorato del 2,00% e a condizione che la variazione del valore della quota del Fondo sia positiva nell’orizzonte temporale di riferimento. L’aliquota di prelievo è pari al 15% dell’overperformance. La somma delle provvigioni di incentivo e di gestione non può superare il 10% all’anno;
  3. altri oneri minori.

Come si evince dal rendiconto al 30/12/2009 nel corso dell’anno passato le provvigioni di incentivo sono state del 2,96% che, sommate a quelle di gestione, di banca depositaria e spese varie, hanno portato il TER (total expense ratio) alla non trascurabile cifra del 5,55%. Di seguito i valori alla base del calcolo dell’incentivo:

Ora alcune considerazioni che dovrebbero far riflettere gli investitori:

  1. L’indice di riferimento su cui è calcolato l’incentivo è legato ai tassi a breve termine (50% euribor 1 anno maggiorato del 2,00%) e non a un indice azionario che rifletterebbe meglio il mercato di riferimento del fondo che, pur essendo flessibile, presenta una volatilità a 3 anni di c.a. il 20%;
  2. l’incentivo calcolato su base annua ha permesso al gestore di prelevare il 2,96% nel 2009, a fronte della crescita del 23% del fondo, nonostante il risultato ampiamente negativo del 2008 (-35% c.a.). Perciò chi fosse entrato nel fondo a inizio 2008 si troverebbe ad  aver sostenuto un costo di overperformance pur registrando un rendimento totale negativo.

In conclusione questo meccanismo di calcolo consente al gestore di beneficiare di un premio anche quando il fondo è sotto al suo valore massimo e vanifica a mio parere il senso della provvigione che dovrebbe fungere da stimolo per fare meglio del mercato.  Se infatti, ad esempio, il fondo rimanesse sempre investito in azionario il gestore percepirebbe “senza fatica” la provvigione di incentivo negli anni “toro”, dovendo battere un indice obbligazionario a breve termine e “si accontenterebbe” della sola commissione di gestione (che ricordo è del 2,50% all’anno e va ad aggiungersi all’eventuale incentivo) negli anni negativi per i mercati azionari, in barba al sottoscrittore.

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Investire in Commodity

Marzo 25, 2016 by Michele Colosio Lascia un commento

Opportunità e rischi dell’investimento nel mercato delle materie prime


Cos’hanno in comune l’oro, il petrolio e il grano? Dal punto di vista del loro utilizzo nulla, ma relativamente alla loro funzione economica rappresentano alcune delle principali materie prime, le cosiddette commodity, le cui quotazioni influenzano i prezzi di beni e servizi e l’andamento dei mercati finanziari.

In questo periodo l’informazione economica ha focalizzato l’attenzione sui prezzi delle materie prime. L’andamento del prezzo del petrolio, in particolare, riempie le pagine dei giornali e non potrebbe essere altrimenti visto che il combustibile fossile rappresenta di gran lunga la fonte di energia più utilizzata.

Oltre alle commodities energetiche, tra le principali materie prime ci sono i metalli industriali, come alluminio e rame, i metalli preziosi, come oro e argento, le materie prime agricole e d’allevamento (grano, soia, bestiame, ecc.) e le cosiddette “soft commodity” come cotone e cacao.

La dinamica di prezzo delle materie prime è influenzata da una molteplicità di fattori: l’oro e gli altri metalli preziosi (argento, platino, palladio) rappresentano, durante le crisi economico-finanziarie, i tradizionali beni rifugio per difendersi dall’inflazione. Le materie prime agricole e d’allevamento risentono della richiesta crescente dei Paesi in via di sviluppo (Cina e India in primis) la cui popolazione, urbanizzandosi e “arricchendosi”, consuma alimenti in qualità e quantità crescenti. Le materie energetiche risentono della salute dell’economia e delle tensioni geo-politiche dal lato dell’offerta.

Come deve comportarsi il comune risparmiatore in seguito ai corposi ribassi fatti segnare negli ultimi anni dai prezzi delle materie prime?

E’ consigliabile una particolare prudenza, vista l’alta volatilità di questo mercato, ma in linea generale l’investimento nelle commodity presenta delle opportunità: la diversificazione del portafoglio, l’investimento in attività poco correlate all’andamento dei mercati azionari, la protezione dall’inflazione. Il vantaggio è rappresentato dal miglioramento del rapporto rischio/rendimento atteso dei propri investimenti, a condizione di investirvi una piccola porzione dei propri risparmi e su un indice diversificato che sia rappresentativo della materie prime nel loro complesso.

Come fare praticamente per investire? L’investimento diretto sulle Commodity è stato riservato fino a pochi anni fa soltanto agli operatori professionali, ma recentemente sono stati immessi sul mercato molti nuovi strumenti, facilmente accessibili tramite la propria banca, quali ETF tematici, ETC e Certificati, che si sono aggiunti ad un’offerta di Fondi Comuni d’investimento in fase di ampliamento.

Gli Exchange Traded Fund sono fondi indicizzati quotati che hanno l’obiettivo di replicare il più fedelmente possibile l’andamento di un indice di riferimento (azionario, obbligazionario, commodity, ecc.) attraverso una gestione passiva. I vantaggi di questi strumenti sono i bassi costi di gestione (essendo la “gestione passiva” relativamente economica da realizzare rispetto alla “gestione attiva” tipica dei fondi comuni), la diversificazione ottenibile con un singolo strumento e la quotazione in Borsa Italiana che li rende negoziabili in tempo reale attraverso il proprio intermediario finanziario.

Gli Exchange Traded Commodity, pur essendo formalmente diversi dagli ETF, hanno gli stessi vantaggi, ma a differenza di questi permettono di investire anche su un singolo sottostante (ad esempio l’oro, il petrolio, ecc.) invece che su un indice diversificato.

 

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Il portafoglio ideale

Marzo 25, 2016 by Michele Colosio Lascia un commento

I recenti ribassi delle quotazioni delle borse internazionali hanno colto impreparati diversi investitori che, allettati da anni di rialzi, erano esposti a rischi eccessivi rispetto alla propria capacità di sopportazione del rischio.

Spesso il risparmiatore è influenzato dall’andamento passato dei mercati e ha delle aspettative di rendimento compatibili solo con un elevato livello di rischio e con un orizzonte temporale di lungo periodo.

Le indagini statistiche dimostrano che l’investitore non professionale corre il rischio di cadere nella trappola dell’euforia nelle fasi di mercato crescente e di lasciarsi contagiare dal pessimismo nelle fasi di mercato depresso. Questi atteggiamenti lo inducono ad esporsi ai mercati azionari quando il trend al rialzo è ormai giunto al capolinea e ad uscirne con perdite pesanti quando, colto dalla sfiducia tipica di chi vede i propri investimenti perdere rapidamente valore, la situazione ha ormai scontato lo scenario peggiore e gli indici si trovano su livelli ai quali sarebbe conveniente investire.

Cosa si può fare per gestire correttamente il proprio patrimonio, grande o piccolo che sia, e preservarne quantomeno il potere d’acquisto (impresa non facile in periodi di inflazione in crescita)? Ecco alcune semplici regole:

  • Evitare di fare scelte d’investimento dettate dall’emotività, dalle “mode” o dalle pressioni commerciali;
  • Evitare di sottoscrivere prodotti complessi di cui non si comprendono il funzionamento e il grado di rischio;
  • Pianificare i propri obiettivi a breve, medio e lungo termine e investire di conseguenza, se possibile con strategie differenti per ogni obiettivo importante che ci si prefigge (l’acquisto della casa, gli studi dei figli, una pensione serena, l’accrescimento del capitale, ecc.)
  • Scegliere prodotti e strumenti chiari ed efficienti, facendo particolare attenzione ai costi, alla durata e alla liquidità (che può determinare difficoltà o impossibilità di uscita dal prodotto);
  • Monitorare l’andamento dei propri investimenti nel tempo e modificare la composizione del portafoglio per rispettare il vincolo di rischio stabilito dalla massima perdita sopportabile.

E’ opportuno evidenziare come lo scenario finanziario attuale non faciliti certo il processo decisionale a causa di una serie di fenomeni: la progressiva complessità dei prodotti finanziari offerti, l’asimmetria informativa e conoscitiva tra domanda e offerta, il conflitto d’interessi in capo ai soggetti che collocano i prodotti di risparmio, le concentrazioni tra gli operatori del settore, la sfiducia crescente dei risparmiatori verso il mondo finanziario e le sue istituzioni.

In questo scenario non è semplice prendere le decisioni più opportune e il consiglio per i risparmiatori è quello di verificare, con l’aiuto di un professionista se necessario, lo stato di salute dei propri investimenti per valutarne l’efficienza e l’effettiva capacità di rispondere alle proprie specifiche esigenze. Perciò è necessario dedicare un po’ di tempo alla cura dei propri investimenti, cosa che facciamo normalmente per l’acquisto di beni di consumo, facendo attenzione a distinguere l’informazione puramente commerciale da quella oggettiva e indipendente.

 

 

 

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Vivere di rendita, un miraggio?

Marzo 25, 2016 by Michele Colosio 1 commento

Vivere di rendita è il sogno, confessato o inconfessabile, di molte persone. Certo parlarne mentre stiamo ancora attraversando la crisi finanziaria peggiore del secondo dopoguerra può sembrare una provocazione, ma vivere di rendita è un’ambizione che non è riservata solo ai milionari (in euro si intende), a patto che si lavori ad una pianificazione seria, dettagliata e sostenibile.

Ma quali sono i passi necessari per quelle persone che intendono ritirarsi, in tutto o in parte, dall’attività lavorativa prima dell’età pensionabile e magari trasferirsi ai Caraibi, al mare o semplicemente in campagna?

Queste persone dovranno attivarsi per tempo per provvedere ad assicurarsi le entrate necessarie a mantenere il tenore di vita desiderato fino alla data in cui matureranno il diritto alla pensione e poi ad integrare la rendita pubblica che, avendo alle spalle meno anni di contributi versati, sarà meno cospicua.

Queste entrate potranno arrivare da diverse fonti: un lavoro saltuario o part-time, l’affitto di immobili di proprietà, il rendimento degli investimenti finanziari e dal proprio patrimonio facendo molta attenzione, in quest’ultimo caso, a pianificare dei prelievi sostenibili per non eroderlo completamente.

Prescindendo da quelle che sono le considerazioni etiche di questa scelta, sicuramente contro corrente in una società in cui il lavoro è un valore fondamentale, per progettare il proprio ritiro è necessario stabilire la meta e poi tracciare il percorso migliore per raggiungerla. In pratica bisogna quantificare il livello del tenore di vita che si vuole mantenere e il lasso di tempo entro il quale ci si vuole ritirare, pianificando una serie di passi.

Il primo è quello di assicurarsi contro i grandi rischi a cui ognuno di noi è esposto, in modo da non dover accantonare somme enormi per farvi fronte.

Nello specifico alcuni di questi rischi sono: la premorienza, l’invalidità, la malattia, la responsabilità civile e professionale, ecc.

Questa accortezza permette di limitare le somme da destinare a riserva contro gli imprevisti, che sarebbe opportuno mantenere in investimenti facilmente e immediatamente liquidabili senza il rischio di perdite di denaro, a inconvenienti come il guasto dell’auto, le multe, ecc.

Una volta assicurata la copertura dai grandi rischi è necessario analizzare dettagliatamente la propria posizione previdenziale allo scopo di individuare da quale data si maturerà il diritto a percepire la pensione e quanto si percepirà di rendita pubblica.

L’ulteriore passo che l’aspirante “rentier” deve affrontare è quello di mettere sotto controllo il conto economico familiare o, per mutuare una terminologia aziendale, il budget.

Questo significa innanzitutto limitare le spese superflue e cercare di risparmiare sulle uscite indispensabili. Per quanto riguarda le prime ci si potrebbe sbizzarrire nell’elenco, ma visto che ognuno ha le proprie sacre e insindacabili esigenze da soddisfare lasciamo al lettore il compito di farsi un esame di coscienza per provare ad individuare le voci eliminabili senza troppa sofferenza.

Le seconde sono comprimibili facendo riscorso alle varie offerte sul mercato:  ad esempio è possibile risparmiare sulle spese per il conto corrente, il telefono, la bolletta dell’elettricità, i premi assicurativi, ecc..

Quindi è necessario scattare una fotografia del proprio stato patrimoniale, ossia valutare dettagliatamente gli attivi (immobili, terreni, azioni, obbligazioni, fondi, polizze, gestioni,ecc.) e i passivi (mutui, prestiti, ecc.). E’ ovvio che il saldo positivo tra attivi e passivi è il bacino da accrescere durante la fase lavorativa, infatti è da lì che si attingeranno le risorse per poter poi vivere di rendita. A questo scopo è indispensabile ridurre al minimo i passivi, evitando ad esempio il più possibile il ricorso all’acquisto tramite carte di credito, e trarre il maggior rendimento possibile dagli attivi, iniziando con il tagliare i costi spesso inutili di prodotti finanziari inefficienti.

Spesso si dedicano tempo ed energie a cercare ad incrementare le entrate da lavoro, trascurando gli effetti positivi della cura dei propri risparmi: ad esempio è normale sottovalutare i benefici del risparmio di piccole somme che, per effetto del meccanismo dei rendimenti composti, possono assicurare a distanza di qualche anno una considerevole somma cui attingere.

Certo il progetto di vivere di rendita richiede sforzi e sacrifici, ma volete mettere la soddisfazione di dedicarsi ai propri interessi e alle proprie passioni in un’età in cui si hanno ancora la volontà e l’energia per farlo?

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