Il tema della diversificazione, intesa come elemento utile a ridurre i rischi dell’investimento, non è ancora molto percepito dai risparmiatori. Per molti di essi diversificare significa semplicemente avere più prodotti in portafoglio o suddividere il capitale tra più intermediari con l’aspettativa di accedere a soluzioni differenziate.
Nella mia attività mi capita spesso di analizzare portafogli concentrati sull’Italia, con azioni nostrane, obbligazioni bancarie (magari del tipo collocate allo sportello), Titoli di Stato, polizze vita e magari qualche fondo comune pure molto esposto al “Bel paese”. In altri casi l’investimento in una moltitudine di fondi di diversi gestori garantisce un’esposizione geografica varia, ma la concentrazione si riferisce in questi casi alla classe di attivo (azioni o obbligazioni) e allo stile gestionale perciò, malgrado la diversa etichetta degli strumenti, si è esposti sostanzialmente al medesimo andamento.
Se dall’analisi risulta una scarsa diversificazione (ossia se i diversi prodotti sono molto legati tra loro), consiglio l’inserimento di strumenti poco correlati tra loro. E grazie all’innovazione finanziaria (quella a fin di bene si intende…) oggi è possibile anche per i piccoli risparmiatori con qualche migliaio di Euro accedere senza problemi a soluzioni diversificate che riducono le oscillazioni di valore dei propri investimenti e l’impatto negativo di possibili fallimenti.
Una cosa fondamentale da capire è che diversificare, ad esempio in valute estere, nella volatilità dei mercato azionari, nei beni reali, nelle strategie alternative, ecc. potrebbe rappresentare un costo in uno scenario positivo per i mercati finanziari, ma è il prezzo da pagare per avere un po’ di protezione da sfruttare quando le cose vanno male. Insomma anche in finanza vale il vecchio adagio per cui “non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca”.
Cosa non fare:
- Tenere tutto sul conto corrente o sul conto deposito (la crisi finanziaria ha ricordato che anche le banche possono fallire…)
- Limitarsi a investire su emittenti italiani, che siano lo Stato, le aziende o le banche
- Guardare solo al rendimento atteso e non curarsi del rischio di oscillazione del prezzo e delle probabilità di default
- Scegliere i prodotti solo sulla base dell’andamento passato, senza approfondirne a fondo la strategia
- Considerare gli scenari poco probabili come impossibili (i cosiddetti “cigni neri” sono molto più frequenti di quello che la teoria finanziaria dice)
Cosa fare:
- Mantenere una buona fetta di liquidità, che fa da protezione nelle fasi di crollo dei mercati (come nel maggio e giugno scorsi) e permette di approfittare dei prezzi depressi per acquistare buoni investimenti
- Mantenere il potere d’acquisto del capitale con obbligazioni legate all’inflazione
- Diversificare, ma senza eccedere nel numero degli strumenti (ci voglionocompetenza, tempo e pazienza per sceglierli e monitorarli)
- Stabilire l’orizzonte temporale dell’investimento e mantenere la strategia impostata senza farsi condizionare dal saliscendi dei mercati (un buon sistema è quello di guardare il valore dei propri investimenti con una bassa frequenza)
- Farsi assistere da un professionista indipendente, almeno nella fase di analisi e costruzione della strategia
Lascia un commento